Gli inizi dell’avventura imprenditoriale
Sono Valentina Cesati e ho un’azienda biotecnologica, che si occupa di analisi del DNA, che è nata nel 2010 a Prato.
L’inizio della mia azienda, della passione per la materia che la riguarda, cioè la biologia, è molto lontana, nella mia storia. Parte quasi da bambina, quando osservavo in continuazione gli animali, tant’è che i miei genitori pensavano che sarei diventata una grande studiosa del comportamento animale. Nel corso delle mie vicende familiari è successo un episodio che ha segnato la mia vita e il mio interesse per la biologia è dirottato dallo studio animale allo studio di qualcosa di più piccolo, la cellula e le sue trasformazioni: da cellula sana a cellula patologica. Decisi quindi molto presto, durante il corso di studi del mio liceo scientifico, di iscrivermi a Scienze Biologiche, feci il mio corso di studi nei cinque anni regolarmente e prima della mia laurea decisi di vivere un’esperienza all’estero, di approfondimento. E incontrai per questo il professor Quattrone, che era già a Bethesda, al “National Institute of Health” e con lui trascorsi nove mesi, dove scrissi la mia tesi sperimentale inerente una proteina coinvolta nell’apprendimento nella memorizzazione. Tornata in Italia discussi la mia tesi e vinsi un dottorato di ricerca in “Morfologia e Morfogenesi Umana” e da lì, finito il dottorato, incontrai Silvia, la sorella del professor Quattrone, che come me aveva iniziato e finito il suo dottorato.
Avevamo voglia di uscire dall’ambito universitario e di poter dar luce ad alcune idee che avevamo apprezzato durante il nostro soggiorno all’estero. Infatti, un’azienda leader nel DNA, in quel periodo era “23andme”. Siamo state tra le prime a voler portare il DNA a disposizione di tutti, nella nostra volontà avevamo molta paura, non sapevamo dove poter dirottare i nostri, a chi rivolgere i nostri test del DNA e quindi spalmammo il nostro rischio imprenditoriale su diverse linee di business, che erano dal veterinario, al dentale, alla farmacia. E così è nata “Gentras” nel 2010. Era una startup, oggi non è più una startup, ma una micro-impresa.
Siamo sopravvissuti a tantissime difficoltà, ma abbiamo ancora l’entusiasmo e la passione per portare avanti i nostri desideri o obiettivi.
I soldi per iniziare
La ricerca dei fondi, inizialmente, è stata quella di guardare i nostri conti correnti e quindi siamo un po’ tutti noi, soci, impegnati nel mettere a disposizione le risorse necessarie per la costruzione del laboratorio e l’acquisizione degli strumenti necessari allo svolgimento delle analisi e anche strutturalmente a dividere il fondo che avevamo affittato nelle varie stanze necessarie per il flusso di lavoro. Successivamente siamo stati affiancati da diversi percorsi formativi, offertici da università toscane e anche percorsi di coaching, di tutoring che avrebbero dovuto portarci a costruire un “business plan” degno di essere presentato a degli investitori ufficiali e istituzionali. Ricordo che tutte le volte che presentavo questo “business plan” sorgevano delle perplessità in merito al fatto che il DNA non era possibile brevettarlo, per cui coloro i quali avrebbero potuto sposare il nostro progetto non si sentivano tutelati dalla non presenza di un brevetto, mentre ci davano come vantaggio il fatto che eravamo i primi a muoverci in questo mercato. Quindi, ricordo che qualcuno mi ha detto: mi raccomando Valentina, corri, corri!
In realtà, essere i primi a muoversi nel mercato, una micro realtà è veramente un fattore negativo, perché non hai la forza di innescare quella domanda che effettivamente all’inizio della nostra carriera non era presente nel mercato italiano. C’è un momento in cui l’imprenditore arriva a porsi una domanda, soprattutto facendo leva sui propri fondi, quando è il momento di smettere di metterli perché se la tua azienda non sta portando i risultati che ti eri prefissato, scommetti su te stessa ed è difficile smettere di scommettere su te stessa, avendo tutta la passione e le ore di lavoro dedicate e per cui secondo me il punto veramente critico è capire quando interrompere questo flusso.
Mi consultai con i miei soci, in un periodo critico, diciamo che era avvenuta la fase di commercializzazione dei prodotti, ma non aveva avuto “l’esplosion” prevista, avevamo necessità di fondi. In quel periodo andava di moda, si iniziò a parlare di “crowdfunding”, non esistevano ancora le piattaforme che ci sono adesso online, ma trovai la cosa intelligente, nel senso che appartenendo a dei contesti di associazioni di industriali, piuttosto che di piccole medie-imprese, mi rivolsi a qualcuno di loro e incontrai degli imprenditori, magari più grandi di me, che erano in pensione, che avevano ancora voglia di stare vicino all’energia di nuove idee che vedevano in me, magari la mancanza di esperienza, eccetera, mi affiancarono e investirono delle piccole cifre, perché io quello che volevo era non togliere la maggioranza ai soci fondatori. Quindi piccole cifre, per piccoli passaggi di quote e quindi siamo stati in grado di tirare su, grazie a questi saggi imprenditori, il capitale necessario per portare avanti la “Gentras” in un momento critico.
Un episodio negativo ed uno positivo
Un episodio negativo, che riguarda la gente è sicuramente il mio primo “business plan”. Assumemmo anche un’analista specializzata facemmo ricerche di mercato molto costose, ricerche di anteriorità sulla vendita dei prodotti, era ambiziosa, assumemmo una rete vendita su tutto il territorio nazionale per i cinque test del DNA che avevamo a disposizione. Formammo 23 uomini e donne, specialisti di prodotto con grandissimo entusiasmo e passione. Mi ricordo l’ultimo viaggio, fu in Sicilia e sull’aereo facemmo uno schizzo di quanto ognuno di loro poteva, io e la mia fedelissima socia Silvia, un’analisi di quanto ognuno di questi nostri agenti avrebbe potuto vendere secondo l’incidenza di penetrazione del mercato, che l’analista aveva effettivamente studiato e valutato, e veramente con rilassatezza, tornammo a Firenze e facemmo il nostro primo ordine, per la produzione dei kit che dovevano arrivare in farmacia. Un ordine, ovviamente all’altezza delle statistiche e a tutt’oggi qualsiasi successo, io, piccolo o grande possa avere, durante le mie giornate, entro in una stanza che a tutt’oggi è chiamata magazzino della Gentras, che è ancora invasa da tutte le scatolette che ho fatto produrre e che non ho mai venduto.
Per cui adesso, a chi mi chiede un “business plan” io gli invio una pagina della copertina di “Astra”, perché in una start up, a mio avviso, è assolutamente molto complicato poter fare, soprattutto in un prodotto che ancora non esiste, poter fare dei business plan che abbiano un senso.
Di eventi positivi ci sono stati in Gentras, altrimenti non saremmo una start up nata nel 2010, ma che comunque oggi sta parlando a questa intervista. L’evento positivo è stato, non essendo nessuno, essendo un imprenditore di prima generazione, in un settore inesistente, comunque venire a contatto con realtà italiane, perché io mi sono sempre riferita a realtà italiane strutturate nel nostro territorio, che avevano una storia. È chiaro molto più strutturate rispetto a noi, che hanno creduto, nonostante le nostre piccole dimensioni e la nostra poca conoscenza del nostro brand nel mercato, che hanno creduto nella nostra idea e l’hanno abbracciata e ci hanno aiutati a farla diventare prima prodotto e poi commercializzazione del prodotto.
Perché per le startup è molto semplice inventarsi prodotti, molto più difficile farli uscire dal cassetto dell’azienda. Per questo noi abbiamo strategicamente deciso di rivolgere le nostre idee, che poi diventano progetti, ad aziende che siano in grado di potergli dare lo sviluppo commerciale che a nostro avviso meriterebbero.
Fare impresa in Italia
Fare impresa in Italia è sicuramente un’impresa! La prima risposta che mi viene in mente a una domanda perché fare impresa in Italia: è perché se ci riesci in Italia, sicuramente avrai strada facile in tutte le altre parti del mondo.
Però, a parte le battute, dobbiamo anche pensare a al nostro Paese, non lo possiamo spopolare. Chi ha la forza e la volontà di lottare per dare vita alle proprie idee innovative, secondo me, in Italia trova comunque tante risorse a disposizione: sono la nostra bellezza del Paese stesso, che può essere fonte di creatività e ispirazione per nuove idee, per nuove imprese.
Le caratteristiche di un imprenditore
Le caratteristiche di un imprenditore, a mio avviso, sono molteplici. Sicuramente una è il coraggio e la propensione ad assumersi il rischio. Un’altra molto importante, è l’empatia, l’empatia di condividere la propria idea e di fare credere tutte le persone che stanno intorno, tutto il suo staff. L’empatia anche di comprendere le necessità dell’ambiente che lo circonda.
Credo che la cosa peggiore, per un imprenditore, sia quella di sentirsi solo, di sentirsi incompreso per cui, secondo me, riuscire a creare una forte unione con le persone che gli stanno intorno è una caratteristica fondamentale dell’imprenditore. E sicuramente un altro elemento, a mio avviso imprescindibile, è la creatività, la creatività e l’adattabilità a sapersi comunque muovere e riadattare su contesti che cambiano.
Il futuro per le nuove generazioni
very important one is empathy, the empathy to share an idea and making all the people around him, all of his staff, believe. Empathy also to understand the needs of the environment that surrounds him.
I think the worst thing, for an entrepreneur, is feeling lonely, feeling misunderstood so, in my opinion, being able to create a strong union with the people around him is a fundamental characteristic of the entrepreneur. And certainly another element, in my opinion essential, is creativity, creativity and adaptability to know how to move and re-adjust in contexts that change.
In Italia non mancano le idee, non mancano le start up perché dati del 2017 riportano 8.000 start up circa, con un tasso di mortalità del 6%, per cui vuol dire che in Italia si ha ancora voglia di fare impresa.
È importante, io mi auguro, per le generazioni future, che il nostro sistema Paese si organizzi, come sta facendo, nel creare un tessuto fertile per poter sviluppare e dare vita e dare crescita alle idee delle nostre future generazioni e accompagnarli nella crescita e nello sviluppo dei primi anni di vita della start up. Esiste una fortissima criticità di reperimento di risorse sia umane perché tanti poi specializzati preferiscono andare a trovare strade più semplici che combattere in Italia, quindi abbiamo una carenza un po’ di risorse umane, sicuramente di risorse finanziarie e sono su questi fronti dove dobbiamo lavorare per creare un tessuto fertile per i nostri, per le nostre future generazioni.